a dare notizia del triente appartenente a questa serie,
sebbene riconosca nell’epigrafe i caratteri sannitici e
nell’animale impresso sul rovescio un elefante, equivocò
nel supporre cbe quel triente fosse stato battuto da qualche
città sannitica, dopo il 5o4, in onore di Metello, il
quale menò al suo trionfo cento quattro elefanti tolti in
battaglia ai Cartaginesi. Egli non pensò che l’elefante era
noto ai Romani fin dal 474 , dopo la disfatta di Pirro ad
Ascoli.
Nè meno infondato si mostrò il Minervini (1), il quale
intravide nella leggenda MET il nome di qualche duce
sannita, un Metius forse, nome famoso che spesso si riscontra
nei monumenti sannitici, e pensò che l’elefante
(dato che debba riputarsi tale lo sconciò quadrupede del
rovescio) dovesse riferirsi ai tempi d’Annibale e delle
guerre puniche e richiamare lo stésso animale delle monete
di Capua, Atella, Nuceria, ecc.
Questo, per ciò..che riflette la congettura d’un nome di
personaggio. Di città, poi, che appartennero al dominio
sannitico nella Magna Grecia, non ne conosciamo alcuna
a cui quella leggenda possa riferirsi. Potrebbe pensarsi a
Metauria,' oggi Marro, del versante occidentale della
B r e z z i a , creduta patria di Stesicoro (2). Questa città,
•secondo alcuni, era stata costruita da un antichissima
colonia dei. Chalcidesi; secondo altri, dei Locresi (3).
Ma di Metauria ci è ignota la storia e sappiamo soltanto
che fu soggetta lungamente al dominio dei Reggini, nè
. t ^iì s a g g io d i osservazioni numismatiche. Napoli, i 856, pag, 74 e seg.
*(2) Steph. Byz.s. v®. Mazxvpos, dice nóUs Zizàici;, ossia del Bruzio, ove vi vetràrio
i Sifculi. Metauria è detta anche da Straberne (Vi, 256) e Maraiipiù
da Suida(Lexic. II, s. v°. S r ^ 'x ^ .C f r . P a i s E. S t a r , della S icilia e della
Magna Grecia. Torino* Clausen, 1894, pag. 5, n° i, e pag, 240, nn 2.
(3) o Mirseupos :è detto A<?*/& v xtUp* da Steph-Byz.. s. v°. cit. Fu
a Zancìensibus locatum, secondo S o lin o g li, 71).
potè assumere incremento o sviluppo favorevole per le
disgraziate condizioni dell’aria e del suolo ; talché Strabone
ebbe a considerarla come una semplice stazione
navale, un porto alla foce del fiume Metauro, di nessuna
importanza
Altri ha congetturato che le monete in questione possano
spettare ai Lucani in genere, quando s’inìpossessa-
rono di Metaponto, i quali le avrebbero fuse apponendovi
caratteri oschi. Ma si è obiettato che i Lucani non fusero
mai monete nelle città da loro conquistate e fecero sempre
uso dell’alfabeto greco, anche quando adoperarono il
dialetto proprio; e così scrissero AOYKANOM in osco e
AYKIANQN o AEIKIANQN in greco. E quest’uso di tradurre
nell’alfabeto greco i nomi del dialetto proprio, è comune
in generale a lutti quei popoli della Magna Grecia presso
i quali ebbero maggior peso sull’uso della lingua gl’interessi
politici e commerciali che non gli stessi vincoli di
razza. Nell’istesso modo che gl’italici Lucani, per il contatto
con le popolazioni sabelliche dell’interno e con
quelle greche della costa, adoperarono la lingua propria
servendosi dell’alfabelo greco, cosi pure iBrezzii, di stirpe
indigena, trovandosi a contatto con le città greche della
costa da loro conquistate, fecero uso di monete con leggenda
greca. Lo stesso dicasi degli abitanti di Laus e
Posidonia quando caddero in potere dei Lucani.
Il Garrucci (ì ) sostiene anch’egli che i Metapontini
trasformati dalla lunga dominazione dei Lucani, dopo la
ritirata di Pirro, e resi liberi dai Romani, avessero potuto
emettere quelle rozze monete. Però nella seconda parte
dell’opera sua, dimenticando quanto precedentemente
aveva supposto, afferma che essendo Metaponto, in tempo
(1) Monete d ell’ [tal. antica, Parte II, p. 36.