del capo è poco meno della maggior altezza del corpo, 1’altezza alia nuca due terzi della
propria lunghezza: 1’occhio collocato alia distanza di un diametro dalla punta del muso
uguaglia la terza parte circa della lunghezza del capo. II profilo del dorso è più ricurvo
che quello del ventre, il quale dal cominciamento della pinna ventrale fino al mezzo
dell’anale procédé quasi retto: la linea laterale ha presso a poco la curvatura stessa
del profilo. La pinna dorsale ha origine alla fine del terzo anteriore del corpo, ed è
sostenuta da ventidue raggi: i più alti sono quelli di mezzo: gli spinosi anteriori de-
crescono meno ehe i ramosi per cui viene la pinna a terminarsi superiormente con
una curva ehe più si abbassa verso la coda: la sua elevazione maggiore non giunge
alla metà dell’altezza del corpo. L’ anale è alta poco più del diametro dell’occhio,
lunga poco più del doppio della propria altezza ; i suoi raggi molli sono alquantö più
brevi di queUi della dorsale. La caudale è lunga quanto la sesta parte del pesce.
Il colore è un cinereo-argenteo assai cupo, annebbiato di fosco, che sotto alcuni
riflessi rifulge con cangiarsi in dorato, degradandosi poi finchè passa al bianco sul ventre
: la macchia dei fianchi è grande, ben segnata e molto nera. La pinna dorsale è sfu-
mata di color olivaceo e porta alcuni punti rossi disposti in serie sui raggi ; le pet-
torali sono d’un ranciato lurido il quale tinge parzialmente le ventrali e l ’anale: la
caudale foschiccia porta alcune serie di puntini rossastri.
La qualità della sua carne è piuttosto pregevole. Al dire del Risso chiamasi a Nizza
Gerle l’adulto, e Gavaron il giovane: noi pero prendiamo forte sospetto ehe il nome
di Gavaron si debba appropriare invece al nostro Smaris gracilis. Dai pescivendoli romani
lo Smaris vulgaris appellasi Zerolo scuro* Zerolo discoglio; il quale non è per
verità tanto raro quanto è meno comune di quella specie décoloré effigiatagli al di
sopra, che da tal gente' viene appellata Zerolo comune^ Zerolo di fangOj Zerolo chiarOj
a cui meglio sarebbe convenuto ehe a questo la denominazione vulgaris. Ma forse già
fummo soverchj nel propalare un abbaglio del Cuvier : non ei soffre 1’ animo di abolire
il nome da lui concesso alla presente specie, che, comunque si voglia, sarà sempre
per noi, lo Smaris vulgaris di quel sommo naturalista ; e percio lo diciamo italiana-
mente Smaride del Cuvier.
ZERRO DEL MAURI
smaris fusco-argenteusj pinnis subrubescentibus : longitudine corporis altitudinem plus
quintuplo superante : capite corporis altitudine modice longiore : pinna dorsali continuaj
corporis dimidio elatiorej radiis postremis longioribus.
D. 11/12. P. 16. F i/5. A. 3/9. C. 17.
L ’ ,
amicizia che da lunghi anni mi strinse all’esimio signor dottore Ernesto Mauri
di ch. me. professore di Botanica pratica in Roma, l’analogia degli studj ad ambedue
cornuni sulle cose naturali, la gratitudine che gli conservo pe’consigli ed ajuti presta-
timi in questa opera ove mena si vegga indegna dell’accoglienza dei filosofi, vogliono
che da me diasi publica testimonianza del profondo dolore che la perdita di tant’uo-
mo mi lascio dentro dell’animo. Non dirö della sua vita domestica, scientifica e lette-
raria lodatissima in ogni parte, e per soverchia sventura non giunta oltre i nove lustri;
non de’suoi viaggi a pro della scienza, alcuni de’quali gli riuscirono faticosissimi e
superiori alle forze del corpo; non delle opere promulgate in istampa, e delle altre di
maggior numéro che si vorrebbero vedere in luce quanto prima; non della fortezza
ed alacrità di animo, con la quale seppe resistere alla fierezza di una continua malattia
di circa sette anni alia quale finalmente gli fu forza il cedere. Imperciocchè le penne
assai più adeguate di un Antonio Bertoloni, di un Michele Tenore, e di altri scrittori di
mérita eziandia hanno già divulgate solennemente le sue virtù. Basti a me il ricordare
ch’educato egli ad ogni maniera di buoni studj, non prima fù giovinetto ehe maturo
filologo, in greche in latine in italiane lettere pienamente versato, e di parecchie lingue
oltramantane elegantissimo parlatore ; co’ quali ornamenti grato oltremodo si fece
a dotti forastieri, ehe principalmente della sua lettura ed esposizione della Divina Corn-
media il richiedevana e si dilettavano : ehe dagli ameni studj delle lettere, ne’quali più
ordinariamente s’intertenne fin quasi a mezzo il corso della sua breve età, guida to da
quegli aurei anelli ehe a più gravi discipline, giusta la sentenza di Tullio, gli sposa,
trasse a’giardini misteriosi di Flora già non si spessa frequentati fra noi, ed in poco
tempo fù scolare, condiscepolo, collega, e divenne, direi perfino, maestro de’suoi pre-
cettori quantunque dottissimi; ehe meritatasi, mercè di publico severo concorso, la
cattedra di Botanica pratica neH’Archiginnasio romano e la direzione delTQrto botanico
in freschissima gioventù, tenne decorosamente molti anni il doppio ufficio si per la nota
candidezza de’ suoi costumi, civiltà e cortesia di maniéré, si per la dattrina ogni di più
vasta della materia che cresce con Fosservarla, si per Fordine lucidissima del discorso,
e pel fina criterio nè per troppo vigore nè per lassezza diminuito gîammai: ehe spese
tutto se stessa a servigio ed aumento della scienza, nelFamore e nel rispetto d’immenso
numéro di uditori, nella estimazione de’buoni, nel gradimento. del Principato : e ehe
di lontano altresi con l’epistolare carrispondenza, e con le. opere publicate, con la pre