cioè la laevis e 1 'aculeata distinguendole pel caratteri enunciati nei rispeltivi nomi:
ma tanta autorité non ci basta a dimettere la noyità della nostra, imperocchè le due
specie che noi veggiamo son levigate od aculeate secondo gli stati loro diyersi. Di cio si
avviddero i chiarlssimi signori Müller ed Henle, i quali crederono determinar meglio la
differenza tra le due specie ammessevi da essi pure dalla semplice o doppia sfrangia-
tura delle barbette ; in conseguenza di che riconoscono in questo mare la vulgaris e
la finibriatüj anzichè la laevis e l’ aculeata. Noi perë non sappiamo neppur confidare
in cotai segnale specifico; perché ayendo ogni Sq u a tin a mediterranea da noi veduta si
dell’una ehe dell' altra specie le barbette similmente sfrangiate, non rimanghiam senza
sospetto ehe la sfrangiatura maggiore indicata da quei professori possa essere una esa-
gerazione facile a concepirsi sopra una tal quai turgidezza di quei piccoli organi in un
dato esemplare. Ma siccome yeggiamo due specie mediterranee assolutamente diverse
per caratteri indubitabili e perenni, e dall’ altra parte non abbiamo incontrato mai alcu-
na S q u a tin a , cui segnalasse l’abnorme sfrangiatura suddetta; cosl ci è giuoco forza il
concludere, ehe tanto gl’ Ittiologi francesi quanto i prussiani dicessero il yero circa il
numéro delle specie, e ne trattassero anzi con mani due diverse; le quali tuttavia non
sapessero confortare di ragion valida, e molto meno esplicare'in quei modi che superi-
no qualunque difficoltà. Di esse due specie andiamo a trattare premettendo le généralité
della sottofamiglia Sq u a tin in i, che formasi unicamente dal genere Sq u a tin a , ed appar-
tenendo agli S q n a lid i è quella ehe più di ogni altra si approssima ai R a jid i, dei quali
assume la depressa corporatura ; come i R hinobatini e i P r is t id in i, ehe sono R a jid i, assu-
mono il corpo terete degli S q u a lid i. Egli e percio ehe gli S q u a tin in i posson dirsi S q u a lid i
anomali a distinzione delle nndici altre sottofamiglie, ehe sono S q u a lid i veri, nè posson
dirsi altrimenti.
Gli S q u a tin in i hanno il corpo depresso dall’una ail’ altra estremità, conyesso alquanto
al di sopra, perfetlamente piano al di sotto; la bocca süll’ orlo anteriore del muso; gli
occhi, priyi di membrana nittitante, nel di sopra del capo; dietro essi gli spiragli, grandi;
le cinque aperture branchiali contiguë tra loro, frappostayi solo una semplice yescica
membranosa, e collocate entro una fenditura esistente negli orli di qua e di là del tron-
co in quella parte ehe distaccasi dal superior lobo delle pinne pettorali : queste superiormente
sinuose nel margine interno, che da un punto posteriore alla quinta branchia ri-
monta parallelo al ben diviso capo : due pinne dorsali : niuna anale : la valvola intestinale
ravyolta a spira.
Caratteri meno important!, e ehe solo percio consideriamo generici, sono il capo grande,
rotondato, più largo del tronco, e quindi susseguito quasi da un collo : gli spiragli
molto più grandi degli occhi, dai quali distano quanto quelli dal confine del muso, figu-
rati a mezza-luna, la cui convessità è snl dinnanzi: la bocca pienamente organizzata;
le mascelle poco arcuate, ambedue protrattili, quasi ugualmente sporgenti,ma 1 inferiore
più larga; il labbro superiore rigonfio: le narici collocate in fondo a due seni formati
da due membrane frastagliate in appendice del muso, sovrastanli alla bocca, e le stesse
narici fornite di due yaiyole ramificate molto eccedenti dal profilo del muso : una an-
gusta membrana sul profilo suddetto, sinuosa, ed estesa dalle narici fino al punto in cui
l’apice delle pettorali si approssima al capo: gli occhi quasi rotondi, allineati con le narici
e cogli spiragli in senso obliquo: i denti larghi di base, slretti di punta, e perciù
apparentemente radi fra loro, conici, ricurvi, poco taglienti; i mandibolari più numerosi
SQUATINA ANGELUS.
dei mascellari.e di serie interrotla nel mezzo; i mascellari senza il medio impari: negli
angoli della bocca due cartilagini al di sopra, una considereyole al disotto, e sovrastante
ad esse un profondissimo ricettacolo sotto la volta carnosa: tubercoli squamiformi distant
fra loro, terminanti in punta: le due dorsali poco dissimili l’una dall'altra, assai
retroposte, collocate cioè sulla parte assottigliata del tronco, la quale, più larga ehe alta,
passa di mano in mano dalla forma pialta alla terete verso la estremità, e cinge una caréna
metnbranacea lungo i lati: le ventrali grandi, quantunque minori delle pettorali,
con l’appendice maijehile piccola e floscia: la caudale leggermente forcuta coi due lobi
non intaccati, 1’ inferiore de’ quali è alquanto più lungo del superiore.
Giungono le S q uatin e ad otto piedi perfino di lunghezza, montando al prodigioso peso
di cento sessanta libre. E cosi grosse narrasi che assalissero i pescatori, quandochè all’or-
dinario l’ingordigia loro contentai’ devesidi llaje minori ed altri pesci piatti, che per simile
conformazione vivon confesse nel fango, del quale assumono le più volte il vario colore.
Si riuoiscono talora in piccole putite, ehe sono probabilmente della stessa generazio-
ne. Le feminine partoriscono una dozzina di figli alla volta ;i.r;quali al rninimo timor del
periglio si rifugian sotto.le ali della madré, onde taluni favoleggiarono ehe le cerchino
in bocca l’asilo. Sono di carne coriacea, generalmente spregiata, di cattivo sapore si,
ma non quanto da uno S q u a lid e si aspetta. Le uova diseccate siusano da’ marinari per
istringere il flusso del ventre; e Plinio racconta ehe a’ tempi suoi le donne applicavanle
sul le mammelle per indurirle e non permettere insieme ehe s’ aumentassero fuor di giu-
sta misura. La pelle loro, corne di altri S q u a lid i, ë utilmente adoperata in fodere di
astucci e di gnaine, ma più spesso a levigare legnami, avorj, ed altre dure sostanze; al
quai uopo gli artefici romani se ne servono esclusivamente ad ogm altra, e la dicono
per antonomasia P e l le di p esce . Che il nome volgare di Sq uad ro lin o in Roma, di S q u a -
d ru in Sicilia, di S q u a d ro e Sq u a tro lin o in Toscana ripeta la sua origine dal latino S q u a tina
niuno ë che non vegga : nel quai nome convengono tutti gli autori della rinata let-
teratura, ed i sistematiei tutti di oggidi. 11 solo Rafinesque dà al genere 1 appellazione
R h in a prendendola da quella che i Greci dettero a questi pesci, trasferita perè dai mo-
derni scrittori ad un altro. 11 vocabolo A n g e lo introdotto modernamente presso moite
nazioni puô bene arguirsi che venga dalla grandiosa forma delle pinne: pettorali.
Descriviamo ora minutamente la specie, cui applichiamo il bel nome suddetto J n g e las.
Se le togli le pinne pettorali e le ventrali offreti la forma di un violino, il cui mani-
co venga coslituito dalla parte assottigliata del tronco, che sembra esser coda, ed è lunga
quasi un terzo di tutto l’animale. La di lui maggior larghezza, che trovasi nel terzo an-
teriore, presa nel maggior dilatamento delle pettorali,uguaglia i due terzi della total mi-,
sura suddetta: la maggiore altezza cape sette volte nella detta larghezza. Il capo piu
largo del tronco è discoideo con una leggera smussatura nel segmente anteriore ; presso
la quale offre superiormente una sensibile escavazione rotonda, ai cui lati si origmano
due rilievi longitndinali convergenti fino al livello degli spiragli; ond’è che vedesi nella
fronte un escavamento, cui seguono due piccole fossette rotonde poco distanti fra loro.
Gli occhi ellittici, allungati, distano il triplo del loro diametro dal profilo del muso, e il
quadruplo l’uno dall’altro: gli spiragli si allontanano da quelli per quanto è un proprio
diametro e più del triplo l ’uno dall’altro; hanno integri i margini, il superiore con-
cavo, l'inferiore sensibilmente conyesso nel mezzo; la figura loro è quai di un fagiuo-
lo. La bocca ehe da un angolo ail’ altro misura lo stesso spazio che corre tra gli angoli
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