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» bronzo che ci obliiano conservali gli scavi Pompeiani, e di una tale conservazione da impreziosirne
» viepiù la sua rara bellezza. In essa è rimarclievole una perfetta corrispondenza di p arti cosi rara a
» tro varsi nelle figure dell’arte, e quasi impossibile ad incontrare nel vero. Poiché al torso sono
» corrispondenti di un istessissimo carattere di form e e le braccia, c le gambe e le p arti tutte del corpo
» di questo Fauno, in cui i muscoli sono espressi così acconciamente, c sì d’accordo con i movimenti
» delle sue membra che l’arte non può far meglio. E si ravvisa eziandio sulla epiderm ide o superficie
» del metallo (di cui è fatto) un non so che di m orbido e di pastoso clic non è certam ente l’opera
» del più diligente cesello, nè della più esperta lim a ma bensì il tatto molle, m orbido, e discorrevolc
» delle più esperte dila sopra docile m ateria: il che ci convince che l'arte fusoria degli antichi sapeva
» trasportare in metallo tutte le squisitezze di esecuzione dei modelli di cera, o di creta, senza lasciare
» al cesellatore nè bave da levar via nè asprezze da lisciar col cesello. La qual cosa non ci recherà
» m eraviglia ogni qual volta si pensi, che la piccola eucinelta di un pover’uomo di Pompei dax’a più
» da fare all’arte fusoria degli antichi, che non dà alla nostra fusione una intera casa dei tempi
» no stri. Le arti del bello nei tempi di allora s’intromettevano a tu tti 1 bisogni del viver civile,
» penetravano da per lutto, non vi era porta che loro fosse chiusa. Non solo le superfluità, ma anche
» i bisogni della vila loro andavan soggetti. T utti i m estieri, tutte le indu strie, tutte le condizioni
» ad esse pagavano il loro tributo. Eran regolatrici del lusso e delle fogge, m inistri delle religioni,
» compagni inseparabili di tutti gli usi, di lutti gli affari, di tutti 1 piaceri. Il soldato portava loro le
» arm i con cui guerreggiava, il gladiatore quelle con cui combatteva; dal boccale fittile delle taverne
» alla cop[>a d’oro dell’opulento, su lutto im primevano le tracce del loro dominio. A questo tributo
» volontario che l'anticliità pagava alle arti del disegno è da attribuirsi la perfezione a cui eran salite;
» altezza a cui indarno aspirano di poter giungere le nostre arti, che disusate troppo restano a mezza
» via. Ecco perchè così varie, abbondanti e considerate nelle invenzioni, cosi jierfelte nelle esecuzioni
» ci sembrano le fusioni degli antichi, che dovevano aver mezzi più facili c spedili di noi, che venivan
» loro suggerite dalla continuità dell’esercizio, che è agli accorgimenti delle arti il prim o e più
» polente incitamento, c sorgente delle utili invenzioni per perfezionare le cose ». II carattere del nostro
Fauno abbenchè robusto e risentilo non ram m enta nè quello dell’Èrcole, nò (¡uello del Gladiatore, ma
svela un tipo lutto suo proprio che tiene il mezzo fra questi due. Il dotto Lanzi citava come l’ideale
di un Fauno quello detto della Villa Adriana, e che si am m ira nel Museo Pio Clemenlino. Ora però
se al chiarissimo scrittore fosse dato vederlo, non poti-ehbe davvero torre il vanto al Faunelto Pompeiano
d’essere queslo il tipo artistico di quella antica divinità. Quelle l^raccia sollevate, e tutta la movenza
della persona nuda ed in atto di danza ebrifestantc, è tale che bene a ragione unico, e non singoiar
monum ento, è da tenersi questa vera gemm a dell’antica Pompei ' , la quale abbencliè non sia forse
di grande im portanza all’occhio investigatore dcH’archcoIogo, torna nondimeno d’im itabile esempio per
le arti del bello.
Come sopra accennammo, il pronto ritrovam ento del descritto bellissimo Faunelto intitolò questa
casa. Non facile però sarebbe stato rinvenire chi ne fosse l’antico suo possessore, o la sua condizione,
p er poterla con proprietà m aggiore denom inare, p u r quando la critica dall’entusiasmo vinta non fosse
stata. Ed in vero le opinioni accennate di poi intorno a tale argomento non sono da contentare di
molto, abbenchè ingegnosa ci sem bri quella espressa dal citato chiarissimo Bechi. La infinita quantità
di anfore di tutte le form e, e di tulle le grandezze che ne’ luoghi più cospicui di questa abitazione
si sono rinvenute, fecero d ire a taluni che quivi una fabbrica fosse di coleste anfore, ila il Bechi
combattendo tale leggiera opinione ben osservava che il non essersi rinvenuta la fornace, c poi il
paragone di sì ricca casa e sì povera Ia ttura, come quella di rozzi vasi di creta, scmbran cose da
non potersi insieme associare, nò stare nei confini del verisim ile. Egli opina in vece che appartenere
dovesse ad un ricco m ercatante di vini per quelle anfore rinvenute, c jier m olti ornafncnti c m olti
mosaici quivi scoverli, tu tti al culto di Bacco dedicati. A conforto di questa sua opinione aggiunge il
Bechi, che tu tte le anfore ritrovate negli atri, e nei peristili potevano essere p e r mom entanee circostanze
situate (giacché declinando l’autunno fu ricoperta Pompei), e che fin itele occorrenze della vendemmia,
e riposti i vini nelle anfore si potevano o serbare o spedire secondo che bisognava: nè il contrasto
che offre la sontuosità della casa col commercio di quella industria recar deve m eraviglia, perocché
anche ai dì nostri, egli aggiunge, di questo contrasto ci fan fede i più be’palagi di Venezia di Genova
c Firenze, i quali furono edificali da’cittadini nella m ercatura arricchiti, e che possessori di case
piuttosto regìe che private, non discontinuavano p er questo dal m ercatare.
0 llpn ariUiicodi quesu dlvlolU le ilolle ai’laiaol ile
CASA D E T TA DEL FAUNO 5
Quesla opinione del Bechi, lo ripetiamo ci sembra ingegnosa, ma non tale da potersi accogliere
con intera certezza. L’esempio di quelle anfore, rinvenute nei peristili c negli a tri, è cosi comune
nella nostra Pom pei, segnatamente nelle case di maggiore ricchezza e di m aggiore im portanza, cbe
dovremmo ad uu tempo supporre i possessori di esse tulli esclusivamente dediti al commercio del
vino. Se cosi fosso quei ricchi, che tanto spendevano nel lusso delie proprie dimore avrebbero prim a,
di certo, provvisto alla costruzione di apposite località destinale ai bisogni del loro commercio, senza
bruttare, dii-em cosi, le parli interno delle lor case sontuosamente decorale.
Dalia disposizione della pianta di questo cdifizio, pubblicata nella tavola 1 crediam o che possa
]>iù proì)abilmente em ergere la condizione del suo possessore. Fi-a poco nel descrivere che faremo la
[)ianla di cui è jiarola si tornerà da noi sn tal proposito. Ci giova per ora notare cbc un fatto di
grave momento ci sem bra additare la provenienza della famiglia cbe questa casa abitava. Q uivi,
n ciratrio segnato nella pianta col n.° 38 fu rinvenuta la piccola ara di travertino, delineata nella
■stessa tavola al n.” 55, e quivi pure fu ritrovata la iscrizione osca riprodotta al n .” 50. Era destinata
fjuelTara al culto di Fiora come la leggenda Io addita, cd è questo l’unico m onum ento sacro osco fin oggi
rinvenulo in Pompei, e perciò da stimai-si di rara imporlanz.i. La iscrizione, fedelmente da noi riprodotta,
suona nei nostro volgare idiom a: (Magio?) Pitrio figlio d i Magio guestoro p e r decrclo (della trib ù ? )
Trimparacinea compiè Vojìera Tale iscrizione l}cn chiaro ci dice, che appartenuta fosse ad un
pubblico monumento donde fu tolta, c poscia quivi trasportata. Nè essendo stala adoperala nelle
costi'uzioni, come in altri rincontri si avvera, ma invece custodita nelle interne stanze della casa, è
(la credere che fosse stata serbata come i-icoi-do gradito della famiglia di quelle domestiche m ura.
Questa iscrizione pertanto, c taluni fram mcnli di alfabeti osclii graifili sopra una esterna parete della
casa, e la sacra ara dedicala a Flora con Io stesso idiom a, c lo stile arcliitetlonico di ogni parie
dcll’edifizio, Uillo in somma c’induce a credere non inverosimile la supposizione che (¡uesla casa, della
ora del Fauno, appartenuta fosse ad una famiglia di origine osca, c perciò indigena di Pompei e non
provvciuila con la colonia Sillana al tempo della sua deduzione
Quesla sontuosa casa isolata dalle altre circostanti è posta fra quattro vie che nc circondano
l’area. L’ingresso principale risponde sulla via segnala col n .' \ nella pianta, la quale via fianclicggiando
il tempio della Fortuna, verso la porla chiam ala di Nola prosegue. Le due vie dei due lali, anguste
di molto, vanno dritte alle m ura della città, c l’altra viottola col n.° 5 segnata, rade la parte postica
della casa.
Le tre stanze indicate col n .‘ 5 dalle quali polevasi penetrare nella casa, mercè le porte clic
sono fra queste ed il contiguo atrio, erano come uu vcslibulo della casa medesima destinalo per fare
agiatam ente attendere coloro che quivi jirim a che fossero dischiuse le porte giungevano, per esser
quindi introdotti. Le altre due stanze poi parim enli col n .” 5 segnate p ar che destinate fossero all’uso
del m ercanteggiare.
Lo spazio n .” C addila chiaro il p r o lh y n im dei L atini, detto dai Greci d ia lh y ru in , che vale in
fr a duo porte 0
che risponde a quel luogo situalo fra le due porle che chiudono la casa: e g li scalini
11.” 7 e n.” 8 che le im pronte conservano ancora dei cardini su i quali giravano gli usci, mostrano
che quivi appunto fra due porle chiudcvasi questa dim ora *.
Al iirothyrum succede l'adito, segnalo col n.° 9 c da eleganti aggiustamenti di s(¡uis¡la greca
architettura decorato, come più sotto direm o.
Minuti pezzi di marmo disposti a scacchiera di bianco, nero, verde, rosso c giallo, e con diligenza
commessi formavano il pavimento di questo adito, in cui veggonsi fra i m arm i adoperati taluni bellissimi
come il nero di paragone, il rosso cd il giallo antico Questo elegante pavimento è congiunto aH’allro
del contiguo atrio mercè un mosaico di stupendo artifizio da noi pubblicalo al n.” 4 della tav. II.
La squisita esattezza che si ammira in questo mosaico ben ram m enta la sua greca provenienza. E
come in questo in tutti gli allri rinvenuti nella casa del Fauno niun pezzo di pasta o di vetro ai