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p e r gli spcllacoli Ci par degno di nota, coin c bellam ente il eh. Bechi accennava nel primo volume del
f i c a i Museo Boròomco illustrando questo teatro coperto, che i gradi prossimi all’orchestra mostrinsi
certo destinati ai bisclli, ed olle sedie curnli (come è ben nolo), perocché differiscono da quelli della
cavea essendo più bassi cd anco mancanti di quell’incavo giudiziosamente praticato nei gradi delia
cavea medesima, a separare il luogo dove una fila di spettatori sedeva, dai luogo dove l’allra «la di
spettatori, che stava dietro ad essa seduta, dovea riposare i piedi. Al di sopra della cinta posta dopo
il (luarlo grado deH’orchcslra vi era il ripiano che servi\'a ni passaggio della gente, la quale entrando
lateralmente c salendo per quei quallro gradi curvilinei, clic stanno appunto da una parte c dall’altra
dell’orchestra, polcasi agiatamente diffondere nclia cavea mercé le scale che separano i cinque cunei
della cavea istessa.
Qui, come nell’altro teatro, il pulpito del proscenio n.° 17, precede la scena n." 18, cd il iiost-sccnio
n .' 19, m entre la scena m unita delie solile tre porte, una maggiore le altre due minori, ha nc’suoi
due lati, come pure nell’altro lealro, due ingressi. Da questi si ascende ai due tribunali che cuoprono
c l'uno e l’altro passaggio inlroducenti al teatro, come può vedersi nella sezione segnala col n.’ 27.
Tali tribunali è opinione di molti clic fossero destinati a coloro i quali davano gli spettacoli, o a
quelli che li dirigevano, muovendo tale opinione il vedere questi luoghi distinti messi in particolare
comunicazione col sottoposto proscenio.
Nel descrivere le varie località del teatro scopcrlo, notavamo di sopra clic dai dicci fori quadrali
posti dietro il m uro del proscenio n .’ 1 2 , sbucavano le aste del sipario, senza far parola però dol
modo come il sipario medesimo spicgavasi c saliva a cuoprirc la scena. II Mazois, rapilo all’a rte prim a
di por termine al suo dotto lavoro sulle rovine di Pompei, sventuratam ente lasciava incom piuta la
parte risguardante appunto i teatri. Ad ogni modo però fra i suoi ricordi scritti e disegnali furono
rinvenuti taluni pregevolissimi studi sul meccanismo del sipario di questo Pompeiano teatro, che noi
seguiremo per dare al lettore compiuta idea di questa parte del noslro cdifizio.
Ogni foro quadro, disegnato diciro il m uro del proscenio n.‘ 12, raccìiiudeva un palo internam ente
Miolo che scendeva dal livello del pulpito fino in fondo al fossetto che sta limilrofo al citalo m uro,
c nel quale ripicgavasi la tela. Risultavano pertanto circa dodici piedi di profondità, sette pel fossetto,
e cinque per l’altezza del m uro di appoggio. Ognuno dei citali pali un allro ne racchiudeva di legno
parim enli vuoto, c questo ne conteneva un terzo, il quale pure scrriva forse di asluccio ad un quarlo.
L’ultimo però essere doveva solido. Questi pali clic serx'ivano di sostegno al sipario connessi gli uni
negli allri si sfoderavano cd iiinalzavansi m ercé delle corde legate alla liase di ciascuno di essi,
passando sopra una carrucola sulla parte supcriore dei singoli astucci, ripiegandosi lali corde sopra
un'altra carrucola alla base dell’apparecchio, cd attortigliandosi po.scia sopra un argano poslo all’cslrcmità
del fossetto o r sopra citalo, per il quale argano sollevandosi le aste, la tela ad esse attaccala, parim enti
sollevavasi. A completare questo sistema, aggiungono gli aiiuolalort del Mazois, che è da por mente
non esser l’aii/aw m il solo drappo clic nascondeva la scena agli occhi degli spettatori, prim a e dopo
la rappresentazione. Eranvi in oltre i s ip a r i i quali come drapperìe da im Iato o dall’altro guarnivano,
nei grandi teatri, appunto l’aulaeum c servivano di bell’aggiustam ento a quesla parte dalla scena.
Non meno ingegnoso, c certo assai più scabroso, era il meccanismo per mezzo del quale stcndeasi
sul teatro il velario. Dobbiamo parimenli a taluni scritti postumi del Mazois molle egregie osservazioni
appunto intorno questi velari, il cui uso fu prim a adottalo nelle varie città d’Italia che non lo fn in Roma
stessa. Se ne attribuisce l’invenzione ai Cam pani, ad ogni modo il lusso crebbe hcn presto molli
perfezionam enti a ipiesto apparecchio, immaginalo da prim a p er solo comodo, talché Plinio parlando
dei velari nc descrive taluni simili al colore del ciclo c sparsi ovunque di stelle. Cesare in una splendida
festa, consacrala al popolo rom ano, copri un giorno l’anfiteatro d’un velario liilh) di scia, ed in quei
tempi questa m erce all’oro paragonavasi; nò è da obliare che Svctonio racconta aver Nerone fallo fare
un velario di porpora, in cui Irapunlalo d’oro vcdeasi rappresentato il carro del Sole, dalla Luna e
dalle stelle circondato. Allorché si considera la vasta area dei teatri c degli anlilcalri antichi, apjicna
può concepirsi come poleasi collocare su di essi una tela di si sm isurala estensione, la quale quasi
istantaneam ente, c dislendevasi, c riliravasi sul capo degli spettatori. Ma è un fatto sloricaincnlc provalo,
peroccliè lo stesso Svctonio p ur ci racconta clic fra i dilclli di Caligola eravi quello di fare sciiopnre
l’anfiteatro nelle ore più infocate dai raggi del Sole, imponendo al popolo il crudele comando di <|uivi
rim anere, cd a capo scopcrlo.
Non vi c alcun dubbio che il velario doveasi stendere c ripiegare eoi mezzo delle carrucole e
.. AU,Ionio «BUIU lo imorpclrotlooe del ....... nrll onoo 1814 nel .oloiee I ÙOi'0|«ro II /!«.( DcrMica tovolo XXXVIII,
dei cordami come il sipario. Sappiamo da Lampridio cho in Roma una schiera di m arinai, bene avvezzi
alla m anovra delle navi, era destinata a tale uffizio, perocché questi ci n arra che un giorno Commodo
credendosi insultalo dagli S|)cLlatori, ordinò a lali m arinai m assacrare coloro ch’egli pensava lo avessero
vilipeso. Il n.° r> della tav. II, rappresenta una delle antenne che servivano al meccanismo adoperato
p er distendere il velario. Una di queste antenne fu dal La Vega restituita, nel nostro cdifizio, divinando
l’antica. Tale antenna, avvinta in una chiave m arm orea di form a paralcllcpipeda c aderente al m uro,
inleiTompcva, in allo, il cornicione estremo dell’emiciclo, c con la base s’introm etteva nel masso clic
costituisce i quattro gradini della terza cinta. Quivi T antenna era m età della propria spessezza cosi
posando sul suolo del sottoposto corridoio a volta. Osscw ava il Mazois clic era data tanta lunghezza
alla parte inferiore di questo palo a cagione, senza alcun dubbio, della forza di trazione alla quale
dovca resistere, cd a fine di sforzare assai meno la chiave m arm orea che in allo lo sosteneva. Noiava
per giunta il cilato autore, clic le antenne poste presso la scena fossero però le sole che attraversassero
la volla del corridoio. Le altre non coniiccavansi nel masso dei quattro scalini della terza cinta che
p er soli 2 i) centimetri circa; c ciò perché le altre aste non avcano a sostenere, quanto le prim e, il
peso di lulto il velario. Sarebbe troppo lunga o pera, per la brevità propostaci, qui rip o rtare la
opinione del chiaro architetto, fin ora cilato, sul sistema meccanico clic associalo a qucsle antenne,
adoperavasi forse dagli antichi p er sollevare c distendere il velario sui capo degli spettatori. 11 qual
velario p ar che, secondo il Mazois, innanzi di sollevarsi fosse preventivam ente in parte spiegalo nella
sottoposta orchestra. Abbiamo già per poco trascorso i limiti che ci eravamo imposti per seguire di
sopra talune opinioni dell’autore in parola: e per tornare fedeli all’obbligo assunto nel nostro program m a,
di descrivere cioè i monumenti pompcjani additando al lettore le fedeli particolarità degli scavi pelle
cose inedite, c rinviarlo alla fonte degli antecedenti scrittori p er le cose già ed ite, potrà questi,
o\'c nc fosse vago, far di per se la critica iniorno a cosi fatto argomento sullo splendido libro del
dotto e rim pianto architetto francese.
A rendere viemm aggiorm enle chiara al lettore la disposizione architettonica dell’interno di questi
due pompcjani teatri, abbiamo creduto opera più che giovevole indispensabile, aggiungere nei nostri
disegni le sezioni di lali edifizi. Quella del m aggior teatro è segnata col n." 23 nella lav. 1, l’altra,
del m inore, vedesi nella medesima lavola delincala al n.” 20. Ambedue queste sezioni, utili segnatamente
ai cultori delle archileltonicbc discipline, meglio clic con descrittive parole ai loro studi rispondono.
• Perocché certo mai le parole, a paragone delle grafiche dimostrazioni, possono rendere evidenti ed
intelligibili le varie proporzioni, delle varie p arli, che il lutto di un cdifizio costituiscono. Nelle due
cornici disegnate ai n.' 6 e 7 della tavola 11, la prim a clic coronava l’emiciclo del teatro scoperto l’allra
che ne adornava le Iriliiiiie, e nello zoccolo della sua scena, n.° 4 ,di cui pochi avanzi rimangono, possono
questi cultori am m irare quale purità nei profili, quanlo squisilo gusto ornamentale in questi particolari
del nostro cdifizio era dagli antichi prodigato. Nè è da am m irare meno l’ingegnoso aggiustamento con
cui seppe (|uella gente ornare le lalcrali entrate su i gradi inferiori nel teatro coperto. Il quale
uggiustamcnlo può il lettore vedere ritratto nel ii'. 3, sem pre nella medesim a lavola, ad onta che,
l>iir Iroiqio, non sia dato con la m atita ritrarre l’ardito e severo tocco dello scalpello clic anima i due
telamoni ivi scolpili, opere nel loro genere, più clic belle stupende. Sodo il n." 2 nella citata lavola
abbiamo riprodotto due tessere intagliale sull’ osso, clic se non furono invero riiivenulc nel recinto
dei due Icalri, vennero scavale però poco lungi da questo. Ed abbiamo creduto pertanto quivi
riportarle , p er addilare come fossero presso i pompcjani i segni mercé i quali era loro conceduto
assistere agli spcllacoli. E queste due tessere che su i loro rovesci iu greco idioma una accenna il
numero di un poslo iicH’cmiciclo assegnalo, c l’ allra al num ero aggiunge il nome del |iadi-e Ira i
Iragici doli'anlicliilà, il nome im mortale di Eschilo, queste due tessere, fra molte allre di svariale
rnriiic, ora si veggono serbate nel reale museo, fra le rarissime pompejane suppellettili ivi raccollc.
Prillili (lì chiudere questa nostra descrizione rim andiam o il lettore alla tav. II. Nei n." '1 potrà
scorgere la veduta esterna del m aggior teatro, la quale è tra tta dal portico comunemente chiamalo
d('i te a lri, perché precede i teatri m edesim i, e clic serviva certo a ricoverare gli spettatori dalle
repenliiie piogge, come l'aliro portico volgariiiente denominato quartiere dei s o ld a ti, di cui sopra
alihiamo fallo parola. L'ultima tavola HI presenta l’iiilcrno del teatro coperto ove l’ingresso iiitroduccnle
all’orelicslra che scorge, alla sua sinislra, chi riguarda la scena, è il punto da cui è tratta la veduta
in quesla lavola rappresentata. Abbciicliè assai svarialo, e Uitl’ora gradevole, sia lo iiUcnio di questo
dissepollo edilìzio, come da tutti si am mira nel visitare la ridiviva città e che perciò abbiam credulo
opi>orUino pilloricanienle cpii offrirne la veduta, inire tale cdifizio degradalo dal Iromiioto clic avvenne
initeii/i la a dalla poleiiaa de^li a n n i, (ir piCi non presenta che lina solilaria e lanpnida
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