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CASA
DETTA DEL FAUNO
; ia via C orren d o l’ottobre dell’anno 1831 m entre davasi mano a s, che dal tem pio detto
della Fortuna mena alla uscita dell’antica cillà, or denominala P orta d’Iside, l’ingresso nobilissimo di
un domcsiico cdifizio appariva. Gli avanzi di un alto ed ampio uscio di legno sorretto con ogni
m aniera di ferram enti, e con massicci cerchi di bronzo, ben fecero pensare a quei soprastanti del luogo
ch’ivi inoltrandosi, col lavorio dello scavo, in una casa di grande im portanza p er lieta avventura
si erano im battuti. Nè si ebbero ad ingannare: non appena poteron varcare la soglia, furono tante e si
preziose le cose che quasi per incanto m ostraronsi sotto le ceneri del Vulcano, d a vincere al j>aragone
m olte delle più preziose reliquie fino a quel punto dissotterrale in Pompei. Le decorazioni d’ogni
m aniera che non appena varcata la porta vennero in luce, gli stucchi leggiadrissim i, le dorature fram miste
ad immagini sculLc di stucco, un mosaico stupendo clic cuopriva la soglia della seconda porta, dalla
quale nel vestíbulo si giunge, le poche m ura scoperte lino a quel punto e scompartite d a un bugnato
di Greca fattura, c uuovo, e bellissimo, gli avanzi di suppellettili che la mano dell’uomo abbandonava
fuggendo nel m omento della trem enda catastrofe, e tu tto in somm a ben fece annunziare quel
ritrovam ento fra i più belli dcU’antica città. P er modo che m aravigliato l’architetto preposto a dirigere
quelle scavazioni nel narrare tanta scoperta, p er disimpegno del proprio incarico scriveva: È questo
certo tiii cd ifizio p r iv a lo d a annoverarsi fr a i p iù sorprendenti che s i conoscono, ove appaiono mo numenti
unici p e r conservazione e p e r arte. Talché è d a d ir s i che il suo p ro p rie ta rio sdegnando tm a glo ria che
avrebbe avu ta comune con le a llra d imore p om p eia n e, volle r ise rva rsi u n genere d i decorazione e
d i lusso d a no n po te rsi d i leggiei'i emidare. Così l ’ a trio soltanto d i q u e st'a b ila z io n e offre tante e
tante bellezze, d a p o te r fo rm a re esso solo nel Reale Museo Borbonico u n a in tie ra sala d i o g getti che
n on avranno paragone.
L’entusiasmo, direm così, die tutti vinse (c clic è facile comprendere in chi caldeggia queste m em orie
della nostra gloria trascorsa) senza aspettare d ie fondati o probabili indizi additassero l’antico possessore
di quelle m ura, o almeno il suo stalo, tale entusiasmo alla sola vista d’una preziosa statuetta incontrala
il podii passi dalla p o rla , fece chiam are quella dim ora, che ora descriviam o. L a Casa d e l Fau n o .
Im propria, per non dire assurda denominazione, che però reso questo m onum ento noto aU’Eiiropa, e
che noi pertanto nostro malgrado così pure chiam iam o, or che così c non altrim enti nel visitare la
vetusta città è ricercato cd am mirato da lutti. La preziosa statuetta di cui è parola vicn pubblicata
da noi nella lav. V. P u r questa volta, come sem pre, ci siamo sforzali di riprodurre questo raro avanzo
d ell'anlidiilà con fedele diligenza. Ma vi è nelle arti un tipo che direm cosi non si può rip ro d u rre,
quel tipo in cui alla verità della natura la squisitezza del sublim e si accoppia; quel tipo che facendo
abbandonare i pennelli al Caracci, quando una delle teste del divino U rbinate tentava ritra rre nel dipinto
della trasfigurazione, io indusse ad esclam are: P u r troppo Raffaello si am m ira , m a n o n s i copia! Nel
novero di (¡ueste rare produzioni delle arti è da poi-si il prezioso Fauncllo che presentiamo ai nostri
lettori, c che ora forma il più bell’ornamento del ¡Museo Reale Borbonico nella ricca sua collezione dei
bronzi Pompeiani cd Ei-colanesi. L’egregio, c leggiadrissimo scrittore, Guglielmo Bechi all’apparire di
questo Fauncllo lo annunziava descrivendolo con sì bel garbo, clic il riprodurre le sue parole, tornerà
siam certi gradita cosa ai lettori di queste pagine: « Quesla statuetta, scriveva il Bechi, è ¡I più bel