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<2 1 MESTIERI E L E INDUSTRIE DEI POMPEIANI
0 losanga; disposiziono, con la quale veniva ad occuparsi mio spazio ccrlamcnlc minore, che non situando
le macino in circolo o parallelamente ad una delle pareli. Beiicliè nel primo secolo dell’ impero fossero
già noli i mulini ad acqua, che Vitruvio cliiaranienle descrive, pure quelli a vento non erano stati
ancora trovali ; siccliè io luoghi, privi aiialto di acqua llucnle nel loro perimetro, bisognava necessariamente
far uso di macine, mosse dalla sola forza animale. E quosto è appunto il caso di Pompoi, non ostante la
vicinanza del Sarno, che benissimo avrebbe pollilo animar dei nuilini. NaluralnieiUe silTallo tipo di macine
era il più antico, e già ricorre presso Omero. Nella fig. 2.® della lav. 1. si è riprodollo il prospcilo esteriore
e nella fig. la sezione interna di una macina pompejana. La macina (mola) è iiilissa sopra una base,
di fabbrica, cilindrica a, sulla cui superficie à, inclinata alquanto verso l'inleruo c rivoslila di una lamina
di piombo, si raccoglieva la farina. Da questa base si eleva una pielra c in forma conica (mela), che impernia
un doppio cono incavalo di pietra (cali/lus) d, simile ai noslri orologi a sabbia, e girante intorno alla wieia
per mezzo dei due manubrii e: il cono supcriore riceveva il grano, che, cadendo nell’ interstizio fra lo
due pietre veniva a poco a poco schiaccialo, dal girare che facea l’apparalo, c si raccoglieva iu farina sulla
superficie della base. I maiuibrj, mediante i quali l'apparato funzionava, erano travi di legno infisse
orizzonlalmenlo nella parte media del calilfiis, c mosse in giro da schiavi o da bestie, come asini o muli.
Questo di girar la macina era pei poveri scliiavi il più duro dei lavori;siccliò il dominus, quando volea punii li,
non aveva cbe a mandarli al pkirinum. La leggenda di Pianto, clic nei suoi anni migliori l'u costretto
dalle tristi condizioni economiche, in cui versava, a mettersi al servizio di un pishr, si oltre spontanea
alla menlc del visitatore dinanzi ad un pislrino pompejano. Però in parcccbi di questi, come si
può vedere nella nostra pianta, erano adibito le bestie, e ciò cbiaramenlo si rileva dal fatto che solo
intorno alle macine liavvi il selcialo, mentre il restante pavimenlo è di terra battuta. E qui non possiamo
non ricordare una commovente epigrafe, gralfita accanlo alla rappresentazione dì uu asino, che fa girare
la macina, tornala a luce in una stanza sul Palatiuo, iu Roma:
labora, c , qiwmodo ego laboraai, el proderii iiiii
cioè: fatica, asinelio, a quel modo che ho faticalo io, e le ne verrà giooamenlo. Il povero schiavo,
rivolgendo lali parole al suo asino, mostra quanto sudore c quanti stenti dovette costargli il riscatto !
11 bassorilievo, die riproduciamo nella fig. 5.“ della lav. I, e ohe è uu’iuscgna di pisiriniim,
rappresenla appunlo un asinelio girante la macina.
Nella stanza 2 delia nostra pianta, che irovasi accanto all’area delle macino, ed è in relazione col
forno, devesi riconoscere il panificium, cioè il luogo, ove si formavano i pani. È d’ordinario una stanza
spaziosa, reltangolarc, contenente i due sostegni in fabbrica di una grande tavola, ovvero un sosicgno
solo, quando l'altra estremità della tavola era incastrala nel muro: su questa tavola senza dubbio si
facevano i pani. Spesse volle vi si trova inoltre un recipiente cilindrico di lava, che, come si rileva dagli
avanzi in ferro sul fondo interno, dovea cerlamenle contenere un apparecchio di legno girante sopra
un’arm.idura di ferro; nella fig. 3 e 3*"' delia lav. I. diamo la pianta e ia sezione di uno degli esemplari più
conservali. 11 detto apparecchio veniva mosso da schiavi, non da animali, poiché non vi è mai il selcialo
all’intorno. A quale scopo esso servisse, lo ba dimostralo receolemcnle il Mau (Bull. d. iinp. Isliiulo
archeologico Germanico voi. I, p. 45 sg.), identificando la maccbina pompejana con quella roppresenlata su
due monumenli romani, sul monumento di .M. Vergilio Eurisace e su di un sarcofago del Museo lateranensc-
dal poslo che il nostro apparecchio occupa così nei pislrini pompeiani, nei quali s’incontra sempre nel
punificium, come sul monumento di Eurisace, dove le manipolazioni dei fornaj sono rappresentale nello
stesso ordine, nel quale in realtà succedono, ii dotto tedesco ba concluso cbe non potesse ad altro
servire se non a preparare e a rimenar la pasta. In qual modo poi venissero formati i pani, lo rileviamo
non solo dai dipinli pompejani, segnatamente da una pittura die decora il inercaio o macallum (il cosi
detto pantheon), nella quale insieme con altri commestibili sono rappresentati doi pani, ma anche dal
fatto cbe non pochi pani ci son pervenuti carbonizzati.
Formali i pani, erano introdoUi nel forno 3, del quale si olire la sezione nella fig. 4.® della tav.
I. E notevole la cura, che gli aDlicbi mettevano, per non far disperdere minimamente il calorico
del forno, in quanto die questo a è contenuto in imo spazio diiusu b, cbc mmiieiieva l’aria calda. Pelle
due aperlure d, munite di tubi di terracotta, andava via il fumo prodollo dalla combusliono del
carbone, c in e si deve riconoscere il deposito della cenere. Dove non è traccia di cammino, come
nel nostro schema, bisogna ammettere che si sia brucialo il carbone. Per mezzo dell’apertura c il
forno comunicava col panificium e con la sianza 4; sicché il pane per questa apertura dal pam/teiu/«
veniva introdotto ucl prae/'ornium, dove il panettiere lo riceveva o lo iinrncileva nei forno. Talora
di sopra la bocca del forno si osserva un Fallo, adoperalo certamente qual mezzo prolilallico contro
il fascino. Colli che erano i pani, venivano forse collocali, pcrcliè si ralfrcddasscro, nella slanza 4
della quale non sappiamo supporre allra destinazione, essendo andi’essa, come si è detto, mediatilo
l'apertura c iu diretta relaziono col forno. A sinistra, dinanzi ul forno è infisso nel suolo mi vaso di
terracotta, cho probabilmente dovea conlcner l ’acqua, della quale si aspergeva il pano mezzo collo pei-
rcndcre la sua crosta più levigala. Altri due vasi, ma più grandi, sono murali ai lali della bocca di
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una cisterna 5 , addossala alla parete di fronte all'area delle macine; c addossali parimente alla parete
sinislra della medesima area sono i sostegni di fabbrica di una bassa tavola, la quale forse poteva
servire per slacciarvi la farina. La localilà 0 è chiaramente una stalla per la presenza doll’abbcveralojo,
e in quella 7 è da riconoscere il doimitorio degli schiavi addetti al pisirimim.
Ai pislores o pancltieri propriamcnlc detti devono rannodarsi i c/ibniiarii, i libarli e i pistorcs
dulciarii. Così i ciibanarii come i iiònrii erano venditori di focacce; ma i primi votidevan focacce’colle
in una specie di icggbia (clibanus). 11 pistor dulciarias corrispondovubbc al noslro pasiiccierc; c la sua
bollega facilmente si può riconoscere, oltre cbe dal forno, dalla presenza dei pislriUa (piccole macine)
c delle forme di pasticceria in bronzo. In queste gli anlicbi solevano praticare varie cavità, in modo
da far prendere alle paste alcune forme singolari, come usano anche i pasticcieri moderni. E notissimo
un epigramma di Marziale (X IV, 222) in lode di un duicinrius, il quale mille figure sapeva dare alle
pasle. E dell’impei-atore Elagabalo sappiamo, che amava di vedere imitali in pasticceria i i'rutli cd i
commestibili di ogni maniera, che gli si oll'rivano dai giardinieri, dagli scalcili c dai cuochi. Le forme
di pasticceria pompejano sono per lo più configurale a foggia di concliiglia, nel cui mezzo vi ò lalora
rappresentata la testa di Medusa. L ’olìicina di un pistor dulciarias è sicuramente quella annessa alla
laberna n. 29, Dola 4.", Regione VII, c potrebbe esser citala come esempio di lali ollicine in Fompei.
Da un programma olcltoralc (C, /. L. ÌV n. 1122) sappiamo cbc un pislor, l>, l'aqiuo Froculo,
fu innalzalo dai Pompejani, con volo unanime, alla suprema dignità di duumviro giusdicente (<W»»«ir«m
iure (licmido, dignum re publica, unioer.n Pompeiani fecerunl). II qual latto, mentre da una parto ci
attesta l'influenza della classe dei pislores, ci autorizza dall’ allra a concliiuderc , cbe m Pompei le
magistrature municipali non oran monopolio dei soli ricchi , e cbe questi riconoscevano di buona
voHia (uniaersi fecerunl) la convenienza di farvi parleciparc anche i più autorevoli o migliori cittadini
di Condizione plebea. Il nostro Proculo, poiché la sua nobiltà cominciava da Un stesso per la sostenuta
magistratura duumviralc, volle, in mancanza delle immagini dogli avi che non polca vantare, larsi
ritrarre nel tabiino della sua abitazione, insieme con sua moglie. Nella lav. I. riproduciamo tal dipinlo,
nel quale sì osserva la volgare lisonoraia di Proculo, cbc indossando la bianca toga magisli-alo sli-ingc
nella destra un volume, solito attributo dei ritraili municipali. Allato gli sta la sua donna con veste
rossa, pendenti di perle alle orecchie, c con tenia u fusceUa intorno ai capelli, che le scendono in
ricciolini sulla fronte; avvicina alle labbra la punta delio stile, che tiene nella diritta, cd ha i pugillari
aperti nella sinistra. Quale simbolo poi dell’amor conjugalc di Proculo e sua moglie, vedovasi al di
sopra dei loro rili-alli un grazioso quadrello, rappresentante Amore e Psychc lencramenlc abbracciali.
Da ultimo non possiamo conchiudere qucslo paragrafo senza far menzione di un altro quadrello
(helbig Wandgemdde n. -1501; Vedi tav. Il) rapprcsciilanle un edile n allro magisirato municipale, che
vestito di bianca toga, con mantello grigio sovrapposto, e seduto sopra un siiggcslo fa ai popolo una
gratuita distribuzione di pane: gli ministrano due apparitori, clic indossano luiiica, maniello e calzari,
e dei quali l’uno riceve un pane, per darlo ad un fanciullo coverto di tunica c di sandali, che protende
giulivo le mani.
U.
POÌltRU , LUPLN.AR1US, PISaCAPl, FORENSES, SAGCARII.
Intorno a questi umili mestieri non si può dire più di quello che la parola stessa significa, giacché
scarsissimo è il contributo dei monumenti.
In un paese posto nella Cmn^mii« Felix, sulle fertili pendici del Vesuvio, è naturale che vi fossero
i pomarii o venditori di frutta. Accanto alla furma fiipùiai-ii« ricorre l’ allra liipinipolus, lotta anche
in un programma elettorale (Pi-ooMÙim oei/lì/cml FeUcio lapinipolus roglatl). Questa specie di legume
dovca tornar gradita ai Pompejani non meno cbe ai moderni Napoletani, presso L quali però è cibo
quasi esclusivo della gente povera. Dei lupini si servivano gli attori nella comedia per simulare ii
danaro; di qui l'oraziano (1, Epist. VII, 23) tiec fmiieii iyiioi-ai quid disteni aera lupinis.
La forma piscica^iw (pescatore) non era rcgislrotu nel lessico; eppcrò, al pan di lupinipolus,
bisogna nlcneria come mia parola del sermo nisiiciis. Qualche dotto ha credulo di riconoscere un
venditor di pesci in un quadrello ora quasi distrullo (iieluig, op. cil. n. I5ÜD ) , nel quale vedovasi
i-appresciuato uu vecchio calvo, con breve tunica bianca, bianco mantello c sandali, accompagnato da
un giovine coverto di corta tunica verde, clic portava sulla spalla due canne, dalle quali pendeva un paniere.
Ma senza ricorrere ad una rappresentanza così dubbiosa, possiamo rilevare il costume degli anlicbi
pcscaloi-i dai dipinli di Danae nell’ isola di Sci-ilo (heluig, op. cit. n. 119-2U: sogluno, PiUure murali
II. 76-78), da quello rappreseiUaule Omero e i pescatori (sogluno, op. cil. n. 601) e sopraltullo da una
impoi-taiilc slaluella in bronzo pompejana del Musco di Napoli (Iuvenl.n.4494); il berretto, la breve tunica,
lo canno armale di lonsa e la sportala formavano il corredo del pescatore. (Vedi lav. HI, lig. l , 2, 3). La
menzionala slatuella di bronzo fu i-invciuila sulVorlo della vasca nella casa delta della seconda fonlana a
musaico, o sembrava quindi che pescasse in questa. Ed infatli è resa con molta verità la siluazione di un
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