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In Sii'ìn 0 precisftiiieute nella Fenicia è alle
falde del monte Cannclo la palude Coiidevla da
cui sorge il fiume Belo, elio correndo cinquemila
¡lassi di paese si g e tta in mare. Alla sua foce
sul mare, in non più che cinquanta passi di lido,
sono le arene che por molti secoli solo bastarono
ad essere adoperate alla composizione del vetro.
Narmvnsi che una barca carica di pietre di nitro
essendo capitata alia foco del Belo i marinai si
diedero a cuocere i loro cibi su quello arene, c
non trovandovi pietre da servire di sostegno allo
loro caldaio, tolsero a quest’uopo le zollo nitrose
delia loro nave, lo quali tocclic dal fu oco, cosi
mescolate coin’ erano all' arena del lido , fecero
correre un liquore lucido e trasparente non mai
prima l'oduto, e questa essere stata l’origine del
vetro. Cominciò poi l’ industria dell' arto ad aggiungere
nella composizione del vetro al nitro c
nirarcna, ora la calamita, quando sassolìni luccicanti
c talvolta conchiglie ed arcuo fossili. K gl’in diani
di allora che facevano i vetri più cristallini
vi aggiungevano del cristallo d i roccia pestato,
a cui quella semplice antichità attribuiva
la perfezione e bianchezza dei loro vetri. Cno-
coiuviio questa composizione con legiie icggieve
cd aride iu fornaci ardenti a modo del bronzo ,
finché liqnofacovanla in nna nia.ssa pingue c nericcia.
Da questa massa poi ia fondevano di nuovo
nelle botteghe c vaiiamonte la colorivano : cd a
questo modo ridotta, talora goufiavaiila iu r-avie
forme col fiato, o sb'vero la lavoravano sul torno,
ed anche talvolta a modo delVurgeiito la cesellavano.
Sidoue (antichissimo emporio delle arti
che le somministrò a l tempio di Snioraono), era
famosa per le sue fabbriche d i vetro, e anche
vuoisi avere inventato g li specchi. Se Plinio come
pare p arla di specchi di vetro, sarebbe materia
ai dotti di cercare come e quali fossero presso gli
antichi questi specchi.
Quando poi i Romani divenuti padroni del
mondo diedero col loro lusso tanto che fare a ll’
industria delle arti, trovarono i vetrai sul lido
della Cainpaiiia e precisamente alln foce del Volturno,
uu’ arena bianca e mollissima ebe adoperarono
a comporne i loro vetri. Quest’ arena o la
pestavano o ia macinavano e mescolavaiila con
tre quarte parti di vetro , sia pe.smidola , o siv-
vero misurandola, e liquefacovanla nelle fornaci,
formando cosi quella massa che i latini chiamavano
ammonitro c i vetrai dol di d’oggi chiamano
Frilla. La ricuocei’ano poi o la riducevano a vetro
puro, bianco c diafano Questo modo da'llomani
era p u r seguitato e nelle Gallie, od in Spagna.
Corre voce, ma più divulgata ohe certa, che ai
tempi di ’l'ibcrio si trovasse il modo di fare il
vetro flessibile, e clic quella invenzione si sopprimesse
per non detrarre al prezzo dell' oro o
dell’argento, sebbene poi ai tempi di Nerone le
industrie dol vetro si as.sottigliasscro, c giungessero
eon i loro ingegni ad impreziosire a tal punto
la fragile materia, d ie (lue piccoli bicchieri (detti
pteroloi, pennati dalla loro figura) si ghmse a pagarli
sci mila sesterzi. In quei tempi i vetri
aggiunsero alba bi.aiicliezza e p u rità dei cristalli
di roccia. Coiitraffacevansi con i vetri gemme e
pietre prezioso di ogni maniera, sia diafane sia
opadic, 0 nell' uso del boro i vetri più o meno
preziosi per materia c per magistcvo sottentrarono
all'argento ed all’oro. E l'arte ginnso a ridurre
questa materia docilissima cc] nccouiodatis-
sinia nd ogni specie di sculture c pitture.
Il prezioso frammento di vetro che pubblichiamo
ìli questa tavola, od i! manico che vedesi
noi ristacco della intera tazza furono trovati verso
r anno 1832 iu l’ompci, e oi é stato faciie i! formare
da essi la patera ohe componcvnuo. Questo
frainincnto per finezza , e difticoUà dì artifizio
non che per gusto, garbo e squisitezza di lavoro
é cosa veramente portentosa. Il vetro clic compone
(¡ncsta patera é a zzu rro , lucido o trasparente,
come il più puro c sploii lido zaffiro, c su
di esso .sono sottilmente rilevati gli ornati che
lo fregiano di vetro bianco non trasparente ma
opaco, come so fossero di onice. Sono questi ornamenti
nn tralcio di corimbi, che cinge una maschera
di Fauno ed una testa di ariete alla estremità
del suo manico della grandezza medesima
di cui si veggono nella tavola delincati. E questi
bassissimi rilievi (od emblemi chiamandoli a modo
degli antichi) sono così so ttili, o cosi inimita-
moiite 0 con tanta preziosa finitezza lavorati, cho
se fossero di oro o in altra più docile materia
figurati farebbero stupore, essendo di vetro non
se nc può coniprenderc l’ artifizio e lascia molto
a! di sotto ogni nostro lavoro d i N’etro. Sono poi
di una tale squisitezza di disegno da non andare
dopo nel loro genere a nessun lavoro in qualsiasi
preziosa gemma dagli anticlii intagliato. Abbiamo
creduto per questo ragione poter comprendere
in quest' articolo che parla dell' arte in Pompei;
il cesello di questa tazza. Qui si vede di fatto
quello che sorprendeva nello parole di Plinio ,
come cioè gli an tich i ccselinsseio il vetro come
r argento ; che lo cesellassero non ci è dubbio,
come lo cesellassero ci riesce difficile a comprendere.
Come ancora il lai’oro del torno apparisce
manifesto, nel dosso c nel concavo e nei listelli
ohe si vedono girare a diligenza ed uguaglianza
di rota iu questa patera, la quale è sta ta indù-
bitauiento fu.sa, poi tornita, quindi fregiata di quegli
orunmeiiti bumcìii, clic se vi fossero stati prima
di tornirla, avrebbero impedito il girare dol torno
.stesso. E questi ornati di vetro bianco cd opaco
sono sul vetro azzurro e tra.sparcnto che adornano,
cosi aderenti, che formano con esso un corpo medesimo,
c rompendosi si sono insieme rotti come una
sola materia o non già distaccati. La maschera
di Fauno si può chiamare uu cammeo, ogni segno
marca la mento ed il sapere di un grande artefice,
o corno non vi é tratto da levare, cosi non
vi é linea da aggiungere.
Il vaso, clic potrebbe chiamarsi un askos é
stato qui riprodotto unicamente perché caratteristico
per la sua forma non connine.
’l ’AV. XXV.
PITTURA MURALE. — Noi frammento di parete cho
riproduciamo in questa tavola scorgosi un altro
esempio della fiiiitasia c grazia degli antichi negli
onianicnti delle loro camere. Quel candelabro clic
si vede alla dritta,sorgo tutto dipinto dì giallo in uu
campo rosso, fi grazlossissimo e bizzarrissimo, od
il suo scapo 0 fusto sostiene ciiK[ue tazze degradanti
con animali, e caulicoli che poggiano sopra
di osso. Accanto a (¡ucsto candelabro vcdcsi Io
stìbolato o basamento di nn cdifizio grottesco su
cui figura principalmoute una elefantessa che nn
suo figliuolo abbraccia colla proboscide. E forse
Mi Antichi Italiani che più di noi avevano in
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che con questi amplessi di proboscide lo lilc-
lefantossa vezzeggiano i loro parti. Poiché l'Italia
vide por la prima volta «¡ncsto fiero 1' anno
di Roma 4 7 2 . quando il Re Pirro ve lo portò
colla guerra a'R omani. In processo poi di tempo,
e sopratutto durante l’ Impero Romano divennero
frequentissime nelle pompe, c negli spettacoli. I
Romani lu mansuefacevano ed addestravano a
mille diversi giuochi: accattavano questi auiinali
denaro c cibi colla proboscide dagli spettatovi,
d' onde quel motteggiare di Augusto verso quel
Romano che compreso della Maestà dell’Imperatore
era tu tto perplesso o timoroso nel dargli mia
supplica che, cioè, g li porgeva quel foglio come
amebbe fatto se aN’csse dato un a moneta ad uu
Elefante. Di mi altro Elefante che furibondo vincitore
di un Toro dopo la vittoria iugiuocchin-
vosi davanti a Domiziano, ci ha lasciato un ricordo
Marziale il quale esclamava, queli’Elefanto
non essere stato ammaestrato ad adorare Cesare,
ma sentire benché bruto per naturalo istinto la
divinita dell-Imperatore senza bisogno di suggerimento
alcuno.
Intorno a 'q u a li animali ripetiamo quanto ab biamo
detto n ella descrizione della tav. VII cioè
che Plinio e Svctonio atierinniio olio gli auticlii
pervennero a forza d 'in d u s tria a far camminare
gli Elefanti sulle ooixle.
Tu tte queste memorie aftàcciato con la \’ista
di questa Elefantessa poggiata su questo basamento,
han fatto credere iu esso rappresentato il
pulpito del proscenio di nn Teatro. Intorno alla
quale credenza noi preferiamo di stare dubbiosi ,
nolla considerazione clic tu tti questi capricci del-
V antica pittu ra erauo piuttosto fantasie, clic non
avevano esempio nè negli u s i, nè negli edihzu
dì quei tempi, an z i'c lic essere imitazione di costumanze
c fàbbriche, eome da alcuni a forza di
sottigliezze di argomenti si \’orrcbbc supporre.
TAV, XXVI.
PITTURA MURALE. Riproduciaiiv questa \
vola quattro dipinti da noi citati a pag. 0 0 «*
(1. questo capitolo.
1.” Apollo presso Admeto. La morto dTppolito
fu cagiono di non poche altro sciagure (Voggnsì
il dipinto csprimcnto Fedra cd Ippolito publili-
cvto nella tavola seguente). Favorito e protetto
da Diana, questa Dea cinese cd ottenne da Esculapio
ohe, làeoiido uso della sua scienza, Ippolito ri-
torimsse iu vita, questa risuscitazioiio ìusiemo con
altro praticate per lu innanzi irritarono souiinu-
mente l’iuto, cho vcdeiidosi infievolirò l'impero
de’ morti col rischio di rim aiierno privato, ne ricorse
a Giove : il Tonante sdegnato, con u n coljio
di folgore estinse Esculapio, Apollo addolorato
dolla morta del proprio figlio, ucciso a colpi di
frecce i Ciclopi clic avevano fabbricato il fulmine
a Giove. Non soffri ii Signore dc’numi tanta vendetta,
c l’avrebbe proci¡)ltato nel Tartaro, so alle
progliierc di Datomi non si fosso limitato di soac-
ciarlo solninciito dal Ciclo, Iiitonio alla causa del-
r esilio di Apollo abbiamo Huguita la più comune
opinione. Esiliato dall'OHmpo, Apollo si presentò
adAdineto, al quale offrendo 1 suoi servigi divumio
custode dello suo inaiidre. Ei non restò presso
di quel principo tu tto il tompo ohe durò il suo
esilio, soggiornò in diverse città della Grecia, o
passò in ultimo nella ’l'roado, ove prestò pure i
suoi servigi a Laomcdoutc.
Ad uno degl’ indicati duo servaggi di Apollo
devosi attribuire il soggetto del nostro dipinto.
D' a8¡)ctto grave e maestoso siede nobile per-
sounggio su di un greppo strato in parte dal suo
manto paonazzo, del quale un lembo gli covre
il dritto lato inferiore, su cui digiiitosamcnto ab bandona
la sua destra che stringe un lungo pedo
i-ieurv-o, nel mentre che con la sinistra l’a ¡niutcllo,
al capo ricoi’crto di pileo frigio, iu a tto di ascoltare
con somma attenzione il dio dell’ armonia.
Ili piedi l’ esule nume col capo coronato di alloro,
senza altre vestimenta che la sua lunga clamide
rossastra affibbiata sul dritto omero o gitta
ta lungo il dorso, e con la lira poggiata su di
un pilastro otlro i suoi servigi a quel grande, ao-
ceunando con In sua destra che stringe il p le ttro
in un toro, ud in una colonna che a quegli
sull d’ appresso. Amuiidue queste bollo figure han
r ornamento di elegantissimi calzari ai piedi, ai
quali servono da suppedanei alcune pietre da la voro
: la scena è espressa vicino ad una rupe con
macigni al disopra od iu aporta campagna di alberi
rivestita. Noi rm'visiamo iu questo dipinto
Apollo nel punto dì esibirsi ad Admeto per custodirgli
le ricche sue mandvo, e l’accennare che
egli fa nel toro posto di fianco a quel pcrsonag-
gto avvalora non poco questa opinione, la quale
\ a ancho piìi rafforzandosi eoi mettere a calcolo
il carattere atletico della figura assisa, sapendosi
ohe Admeto fu il secondo fra gli Argonauti, cd
uno dei principali Greci clic corse alia caccia del
cingiiialc Calidonio.
■2.“ 11 colloquio di Hermes ed Argo sulla Siringa.
Dopo elio Giovo ebbe peidutamoiite amata
la bella Io, la cangiò in vacca per so ttra rla alla
vendetta di Giallone, la quale a lui chiestala in
dono la ottenne o la custodia nc affidò all’accortissimo
Argo chiamato perciò panoptes, pohofial-
vios. miriofUdmos ] cioè 1’ «ohìo tutto veggente, o
da molti occhi, 1’ uomo da mille occhi. Costui la
si condusse in una vallo poco lungi da Micene,
dove assiso in cima ad un’ a ltu ra , spiava tu tti i
luoghi , circostanti. Ma Giove ohe riacquistar voleva
la sua bella, impose a l nume d e 'lad ri di
rubavo ad Argo la vacca. Il peveliè Hermes ve-
mito a lui da pastore cho viaggiava, lo addoi-
iiieutò col dolcissimo suono della siringa. E già
gli avea involata la vacca, quando Argo si destò