grande Grecia, profugo in Reggio dalla vicina Catania. E aveva avuto scultori »di cui le grandi opere, agli
albori dell’arte ellenica, popolarono i tempii, gli stadi e le sacre città della Grecia: Clearco dalle cui fucine
di bronzi raccontavano i Lacedemoni uscisse la vetustissima statua di Giove Chalcioco; e Pythagoras che da
Reggio, prima di Fidia, diffuse in tutto il mondo greco statue di vincitori e di Dei, ad Olimpia il pugila-
tore Euthymos nato nella vicina Locri, il citarista Cleone a Tebe, Apollo che fulmina il serpente Pythone
a Delfo, l’eroe Filottete a Siracusa, il ratto di Europa a Taranto. E aveva mandato in Grecia per le gare
del canto musici e poeti come Aristone ed Eunomo ed Ibico, i cui casi intenerirono gli uomini per secoli
e all’albore della storia, quando la Grecia ancora lottava contro la potenza di Serse, Hippus il più antico
narratore di nostra storia remota.
fi Ma d Ibico e d’Hippus e di Pythagoras e d’Anàssila e d’Aristone, restano un verso, una leggenda,;"*un
nome, qualche bella moneta effigiata, qualche fantastico racconto gentile. E niente altro,
fi Sul gran sepolcreto restava, e resta, salvato dal disastro, solo un piccolo edilizio volto all’Etna ed al sole
morente, ove noi ordinammo le povere reliquie di tanto passato perchè, nelle piccole sale dove entrano nei
caldi meriggi i venti freschi odorati da] mare, dicessero con povere parole quanto poco sfuggì alla morte,
fi In un angolo di questo Museo era, ad esempio, il piccolo calco, ora infranto, di un marmetto esulato a
Londra, e v’era incisa coi nomi dei negoziatori la formula semplice e grave d’un trattato del 433 fra Reggio
ed Atene: « Sarà fede e rettitudine e sincerità ogni cosa tra Ateniesi e Reggini e alleati, saremo fedeli
e giusti e forti difensori giusta i fatti.... » Importante trattato perchè, poco dopo, Atene, movendo contro Siracusa,
si ebbe appunto al fianco in due guerre sfortunate la nostra Reggio fedele e potè ricoprire le acque
di questo porto con le sue belle navi e potè far risuonare, presso questo tempio di Artemide Fakelitis, le
grandi voci di Alcibiade e di Nicia e di Demostene.
fi E accanto al piccolo calco si trovavano due inscrizioni del tempio di Diana, a forma di tempietti, con
tutti i simboli dianei ed apollinei, il tripode, l’arco, la mezza luna: iscrizioni che ricordavano i magistrati supremi
e i sacerdoti Reggini, avanti e dopo che Reggio assumesse il brutto ed aulico nome di Regium
Julium. E vi si trovavano marmi « popolari » scritti per metà in greco e per metà in latino, anzi talvolta in
latinp con lettere greche ed in greco con lettere latine, e marmi figurati dove, tra piccoli capitelli medioevali,
si scorgeva il rudimentale e ambiguo gruppetto di una Vergine seduta col bambino, la testa velata e
la fiaccola nella destra, proprio come nelle terrecotte greche, rappresentanti Afrodite—Persefone con Eros, —
una Vergine non più pagana e non cristiana ancora.
f | Ma di gran lunga più importante era, ed è ancora in grande parte, la collezione delle terre cotte e degli
idoli raccolti in Stilo, Locri, Messina, Tauriana, e in Reggio stessa, belli esemplari delle strane prime figure
di divinità: una di creta, piatta come una tavola, a significare un idolo ermafrodito; altre di terra cotta avvolte
come in una guaina, dette xoana, destinate a riprodurre in piccolo pel commercio dei fedeli, ora grandi sculture
ora umili immagini della divinità; altre rappresentanti solenni Dee sedute, talvolta imitate da lontani esemplari
asiatici, le mani stecchite sulle gambe, monotonamente uguali, tal’altra meno esotiche e più vicine al
vero, più mosse, più ricche nelle acconciature, i grandi occhi obliqui, il sorriso stereotipato, i riccioli folti
sulla fronte, destinate tutte ad essere per secoli adorate nelle celle dei tempii policromi di cui qualche frammento
di grondaia dai colori rosso e bleu è anche riapparso fuori dal suolo sconvolto insieme al meraviglioso
e celebre frammento delle due danzatrici.
fi Avvolte nei chitoni trasparenti orlati di ricchi- colori, tenendosi tra loro con le mani poggiate sulle spalle,
le due creature gentili si muovono ritmicamente, levando le gambe sinistre e toccando appena col piede dritto
la terra, leggerissime e armoniose, giovanili ed acerbe come la vita onde furono espresse, e sono il pallido
ma pur certo segno della Rhegion antica, corpi senza riso di volto, eretti seni senza forma di petto, un
semplice ritmico moto come di azzurre onde che si inseguano. Nulla era, ed è, loro paragonabile in questo
Museo se non forse l’altra mirabile danzatrice dal cotto chitone, dal seno di oro e dal capo coronato, restituita
a noi da un terreno di scarico, o il piccolo Laocoonte detto appunto « di Reggio » scavato tra fram